“In settant’anni non ho mai fatto del male a nessuno, sono accusato di un crimine ripugnante e più volte ho pensato di farla finita. Non ho ucciso io quel ragazzino”. Non si è sottoposto all’interrogatorio ma ha comunque voluto rilasciare dichiarazioni spontanee, affidate ad una lunga lettera, letta questa mattina in aula in lacrime. È ripreso oggi il processo a carico di Calogero Pietro Falco Abramo, settantenne di Racalmuto, accusato dell’omicidio di Antonio Morgana, il diciassettenne di Palma di Montechiaro ucciso con due colpi di pistola la sera del 23 ottobre 2013 in contrada Ciotta.
Falco Abramo seduto accanto ai suoi difensori – gli avvocati Maurizio Buggea e Salvatore Virciglio – ha voluto rendere dichiarazioni spontanee: “Quella mattina stavo aiutando mia moglie a preparare la colazione per la casa vacanza per poi prendere un’amica e andare nella casa in contrada Ciotta – ha detto – lì ho trovato una finestra rotta e ho notato che qualcuno aveva rubato un televisore che avevo appena comprato. La sera ho sentito degli spari, ho chiamato mio figlio e sono andato via perché non volevo rimanere lì. Soltanto l’indomani ho appreso dal telegiornale che era morto un ragazzo. Non ho denunciato perchè avevo paura e non perchè avessi cose da nascondere”.
In aula, davanti la Corte di Assise presieduta dal giudice Giuseppe Miceli, sono comparsi altri due testimoni: si tratta di una donna conoscente dell’imputato e del padre della vittima. La prima, tra mille difficoltà e tentennamenti, ha riferito sull’aspetto fisico di Falco Abramo ai tempi del delitto. Il genitore del ragazzo ucciso, invece, ha dichiarato che in quel periodo lui si trovava in carcere e che, una volta uscito, ha fatto pressioni sugli amici che quella sera si trovano insieme al figlio per raccontare alla polizia quanto sapessero sulla vicenda. Il processo è stato rinviato al 13 dicembre quando verranno sentiti i primi testimoni della difesa. I familiari del ragazzo si sono costituiti parte civile rappresentati dall’avvocato Santo Lucia.
Un delitto che per oltre dieci anni è rimasto un “cold case” fino all’incredibile svolta avvenuta lo scorso anno con il rinvio a giudizio dell’uomo. Il processo è in corso davanti la Corte di Assise presieduta dal giudice Giuseppe Miceli con a latere il giudice Micaela Raimondo.L’omicidio si consuma la sera del 23 ottobre 2013 in contrada Ciotta, nelle campagne di Palma di Montechiaro. Antonio Morgana si trova in un piazzale all’interno di un’auto in compagnia di altri quattro amici: Calogero Pace, Giuseppe Palermo, Mohchine Maukan e Angelo Azzarello. Improvvisamente diversi colpi di pistola calibro 7.65 squarciano il silenzio della notte: due proiettili colpiscono mortalmente Morgana, uno invece ferisce alla gamba Pace mentre gli altri due ragazzi rimangono miracolosamente illesi. Inutile la disperata corsa verso l’ospedale San Giacomo d’Altopasso di Licata. Morgana era già morto. Le indagini sull’omicidio si sono fin da subito concentrate sul possibile movente del furto anche alla luce delle dichiarazioni di uno dei cinque giovani presenti quella notte. Uno di loro, nonostante il buio e le condizioni avverse, fa il nome del presunto assassino agli investigatori, affermando di averlo visto.
Si tratta di un 62enne di Palma di Montechiaro che, poco dopo, viene sottoposto a fermo. Una pista che però fa acqua da tutte le parti e non convince del tutto gli inquirenti. Il 62enne, infatti, viene scarcerato poco dopo anche grazie ad un alibi di ferro. La sera del delitto era a giocare a carte al centro commerciale Le Vigne insieme ad altri amici. Così le successive investigazioni hanno portato dritto a Falco Abramo, proprietario di un immobile in contrada Ciotta. A sparare, con l’aggravante della premeditazione, “dopo essersi appostato – è questo l’atto di accusa – in un luogo buio e isolato” sarebbe stato Falco Abramo che avrebbe voluto vendicare un furto in casa subito quella mattina di cui riteneva responsabili quei ragazzini.