Al culmine dell’ennesima lite, per avere 20 euro, prima le avrebbe gettato del liquido infiammabile e poi avrebbe dato fuoco. Sebastiano Iemmolo, 36 anni, di Rosolini, è stato arrestato dalla Polizia di Pachino per l’omicidio della moglie, Laura Pirri, 31 anni, deceduta all’ospedale Civico di Palermo il 25 marzo scorso dopo 18 giorni di agonia.
L’uomo aveva detto agli investigatori che c’era stato un incidente domestico causato dall’esplosione improvvisa della bombola da campeggio con la quale stavano cucinando. Le indagini sono scattate dopo la testimonianza della madre della vittima che aveva raccontato che il figlio di 10 anni della coppia aveva detto di aver assistito all’omicidio della madre.
Il procuratore Francesco Paolo Giordano, che col sostituto Tommaso Grillo ha coordinato le indagini, ha indagato Iemmolo e messo sotto intercettazioni ambientale la casa della madre dell’uomo dove era andato a vivere dopo il sequestro della casa coniugale. La donna negli anni sarebbe stata vittima dei maltrattamenti dell’uomo, persona violenta, che per futili motivi avrebbe anche incendiato l’auto di un vicino. Il Gip Michele Consiglio ha emesso il provvedimento di arresto con l’accusa di omicidio, maltrattamenti, lesioni, incendio e calunnia.
Per i poliziotti appariva immediatamente attendibile la dichiarazione resa della madre della vittima che, accorsa in aiuto della figlia nell’immediatezza del fatto, aveva saputo dal proprio nipotino che ad appiccare il fuoco a Laura era stato proprio Iemmolo Sebastiano.
La Polizia di Stato, acquisite le prime informazioni sulla reale dinamica dei fatti, rassegnava una comunicazione di notizia di reato che la Procura, attraverso le delicatissime indagini del caso, sviluppava valorizzando sia elementi di fatto rappresentanti da testimonianze sia risultanze della prova scientifica. L
a delicatezza dell’indagine deriva dal fatto che il figlio minore aveva assistito all’omicidio della propria madre, per mano del padre. L’indagine appariva particolarmente complessa anche in ragione del fatto che era iniziata dopo alcuni giorni dalla commissione del delitto, e in un contesto di omertà dovuta al timore di ritorsioni da parte dello Iemmolo, noto a Rosolini per il sistematico ricorso alla violenza per risolvere controversie di ogni natura. Le conclusioni cui è pervenuta l’autorità inquirente derivano dalle dichiarazioni dei parenti e degli abitanti dello stabile di Via Eloro, oltreché dai risultati di intercettazioni telefoniche e ambientali all’interno dell’abitazione della madre dell’indagato in cui, dopo il sequestro dell’immobile, lo stesso era andato a vivere.
Gli elementi raccolti e la notifica di un avviso di garanzia emesso dal Pm titolare delle indagini, che disponeva anche il sequestro dell’immobile, obbligavano lo Iemmolo ad abbandonare l’iniziale versione fornita circa lo “scoppio accidentale del fornellino”, iniziando, tra le mura domestiche, a concordare con il figlio e la propria madre una “seconda verità” da fornire quando fosse giunto in momento.
Infatti, proprio le conversazioni intercettate in cui si ascoltano lo Iemmolo, il figlio di questi e la madre dell’indagato, protesi a concertare una versione di comodo, hanno consentito di ricostruire anche il movente dell’omicidio, portato a compimento per pochi euro negati dalla vittima all’autore dell’omicidio.
Le indagini svolte e le consulenze tecniche disposte dal Pm, tuttavia, smontavano le ricostruzioni difensive adombrate dallo Iemmolo e concordate di volta in volta con i familiari.