Mafia, politica e appalti a Sciacca: 9 indagati
Chiusa l'inchiesta sulla mafia di Sciacca e sui rapporti con politica e imprenditoria del territorio
La Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha notificato l’avviso di conclusione indagini nei confronti di nove persone coinvolte a vario titolo nell’inchiesta che lo scorso luglio ha fatto luce sulla riorganizzazione della famiglia mafiosa di Sciacca ma anche sui rapporti con politica e imprenditoria del territorio. Il provvedimento, che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio, è firmato dai pm Claudio Camilleri, Francesca Dessì e Maria Pia Ticino.
A tre dei nove indagati viene contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso: si tratta di Domenico Friscia, 61 anni, ritenuto il nuovo boss della cosca di Sciacca; Giuseppe Marciante, 37 anni, nipote del capomafia, titolare della Gsp Costruzioni, ritenuto la mente imprenditoriale del clan; Michele Russo, 45 anni. Domenico Friscia, secondo gli inquirenti, avrebbe “ereditato” il trono dello storico boss Totò Di Gangi dopo aver avuto la meglio sul “rivale” Domenico Maniscalco, deceduto alcuni mesi fa in carcere. Friscia è uno storico uomo d’onore di Sciacca, già arrestato nel 2003 nell’operazione “Itaca” e nuovamente coinvolto in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Bucceri nell’inchiesta “Opuntia”.
Tra gli indagati compare anche Maurizio Costa, 64 anni, di Favara, ex responsabile della protezione civile in provincia di Agrigento. Il dirigente è accusato di corruzione (non aggravata dall’aver agevolato la mafia) per una vicenda legata all’imprenditore Marciante: secondo l’accusa, avrebbe attestato falsamente il possesso di una certificazione dell’azienda indispensabile per avere l’appalto per la costruzione dell’Hub vaccinale di Sciacca. In cambio, ed è per questo motivo che viene accusato di corruzione, la ditta avrebbe svolto a casa sua lavori di giardinaggio e opere di consolidamento. Aiuti che sarebbero andati anche oltre all’hub vaccinale. Agli atti anche altri affidamenti diretti: dai lavori per lo sgombero e ripristino del manto stradale a Lucca Sicula e Caltabellotta arrivando anche all’intervento di recinzione della famosa Scala dei Turchi di Realmonte. Il tribunale del Riesame, poche settimane dopo, annullò l’arresto di Costa.
Altri due indagati sono accusati di scambio elettorale politico-mafioso. Si tratta di Vittorio Di Natale, 49 anni, ex consigliere comunale, e Rosario Catanzaro, 65 anni. La famiglia mafiosa di Sciacca avrebbe anche tentato di condizionare l’andamento delle elezioni nel 2022. Il boss Friscia avrebbe incontrato Di Natale, un tempo in Forza Italia con cui provò ad entrare all’Ars, per poi candidarsi con la lista Onda al consiglio comunale. Ottenne 305 voti ma non fu eletto. A siglare l’accordo, secondo l’accusa, fu Rosario Catanzaro. L’inchiesta portò anche alle dimissioni dell’ex presidente del consiglio comunale di Ribera, Vincenzo Costa (non indagato): sono diverse le telefonate e gli incontri tra il boss e il politico, medico veterinario che dall’ottobre 2020 siede sullo scranno più alto del consiglio comunale del comune crispino. Secondo gli inquirenti Costa avrebbe richiesto l’intervento del capomafia su due dipendenti del comune di Sciacca addetti al mantenimento e alla custodia dei cani randagi.
Infine ad altri tre indagati è contestata l’accusa di favoreggiamento aggravato per aver aiutato uno degli indagati – Maniscalco – ad eludere le investigazioni: si tratta di Giuseppe Frangiamore, 36 anni, di Agrigento; Michele Galluzzo, 52 anni, di Sciacca; Antonina Friscia, 79 anni, di Sciacca.