“Fallo ammazzare, ma che c…. ci interessa”. A dare l’ordine di uccidere è il boss di Cosa nostra della provincia di Siracusa, Salvatore Giuliano, e l’obiettivo è il direttore del sito d’inchiesta La Spia e collaboratore dell’Agi Paolo Borrometi.
L’ordinanza dell’operazione che oggi ha portato all’arresto di quattro persone, riporta l’intercettazione di un inquietante dialogo tra il boss e un altro esponente di spicco, Giuseppe Vizzini, tra i destinatari del provvedimento per una serie di attentati: “Giuseppe Vizzini – si legge nel documento – ingiuriava il giornalista d’inchiesta Borrometi e Giuliano consigliava di farlo ammazzare”:
“Su lurdu”, dice Vizzini. E Giuliano: “Lo so, ma questo perche’ non si ammazza, ma fallo ammazzare”.
La vicenda legata a Borromenti viene fuori da un’altra inchiesta, questa:
Minaccia e violenza a un pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, detenzione e porto illegale di un ordigno esplosivo, tutti aggravati dalle modalità mafiose e dalla finalità di agevolare il clan Giuliano attivo nel territorio di Pachino e Portopalo di Capo Passero.
Con queste accuse la Polizia di Stato, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Catania, ha eseguito tre ordinanze di custodia cautelare nei confronti di Giuseppe Vizzini, detto “Peppe Marcuottu”, di 54 anni, i figli Simone di 29 anni e Andrea, di 24 anni.
Ordine d’arresto anche per Giovanni Aprile, di 40 anni, che si è presentato spontaneamente negli uffici della polizia, dopo la mancata cattura di stamani. Gli arresti sono legati al danneggiamento dell’auto dell’avvocato siracusano Adriana Quattropani.
Lo scorso 29 dicembre era stato fatto esplodere un ordigno danneggiando l’autovettura dell’avvocato Quattropani che stava svolgendo la funzione di curatore fallimentare nominato dal Tribunale di Siracusa procedendo al rilascio a favore di una persona di un distributore di carburante gestito dalla ditta condotta dalla moglie di Giuseppe Vizzini.
A Giuseppe Vizzini è stato altresì contestato il reato di minaccia e violenza ad un pubblico ufficiale aggravato dalla modalità mafiosa commesso nel febbraio 2017, prima dell’esplosione della bomba carta, in riferimento alle minacce al curatore fallimentare al fine di interrompere la procedura di apposizione dei sigilli al distributore di carburante oggetto della procedura.
Accertati i legami degli indagati con il clan Giuliano ed il boss Salvatore Giuliano e la sussistenza di rapporti imprenditoriali: il figlio di Giuliano e quello di Vizzini sono i due titolari dell’impresa agricola “La Fenice” avviata nel 2013 e attiva nel settore della produzione ortofrutticola.
Nei confronti degli indagati venivano riconosciuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza per i reati di minaccia e violenza a un pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, detenzione e porto illegale di un ordigno esplosivo, tutti aggravati dalle modalità mafiose e dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa denominata Clan Giuliano attiva nel territorio di Pachino e Portopalo di Capo Passero.
Specificamente, il 29 dicembre 2017, in Pachino, gli arrestati, dopo aver monitorato e seguito gli spostamenti del pubblico ufficiale, posizionavano e facevano esplodere un ordigno danneggiando l’autovettura dell’avvocato Quattropani che stava svolgendo la funzione di curatore fallimentare nominato dal Tribunale di Siracusa procedendo al rilascio all’avente diritto di un distributore di carburante gestito dalla ditta condotta da Franca Corvo, moglie di Giuseppe Vizzini.
A Giuseppe Vizzini veniva altresì contestato il reato di minaccia e violenza ad un pubblico ufficiale aggravato dalla modalità mafiosa commesso nel febbraio 2017, in data antecedente all’esplosione della bomba carta, allorché con intimidazione consistita nel chiederle se aveva figli e ricordandole l’uccisione del cognato per un regolamento di conti minacciava il curatore fallimentare al fine di interrompere la procedura di apposizione dei sigilli al distributore di carburante oggetto della procedura.
Le indagini immediatamente avviate dal Commissariato di Pachino dietro denuncia della persona offesa che aveva riferito anche delle minacce ricevute nei mesi antecedenti, consentivano di ricostruire dettagliatamente i movimenti degli indagati dal momento del pedinamento dell’avvocato Quattropani sino all’esplosione dell’ordigno.
Dalle dichiarazioni delle persone offese e delle persone informate sui fatti, da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle riprese video filmate e dai contatti telefonici fra i partecipi nei momenti immediatamente antecedenti l’azione delittuosa, emergeva come Giuseppe Vizzini trasportasse a bordo di una Renault Kangoo il figlio Simone sul luogo dell’esplosione e controllasse poi a distanza l’operato delle forze dell’ordine. Simone Vizzini, dopo aver ricevuto un accendino da Giovanni Aprile, posizionava l’ordigno sotto l’autovettura della Quattropani cagionando l’esplosione e quindi disfacendosi della felpa che avrebbe potuto identificarlo consegnandola al fratello Andrea. Quest’ultimo, concorreva inoltre nell’attentato anche come “palo” avendo costantemente osservato i movimenti dell’avvocato Quattropani durante i suoi spostamenti nella Piazza Indipendenza di Pachino. Aprile, come detto, acquistava l’accendino necessario all’innesco che consegnava a Simone Vizzini e pedinava a bordo della Bmw da lui condotta, l’autovettura utilizzata dal curatore fallimentare.
Le modalità dell’attentato risultavano indicative non solo di una particolare forza criminale derivante dalla vicinanza degli autori dei reati al clan Giuliano, ma rappresentavano una risposta all’”offesa” costituita dalla coattiva sottrazione del distributore di carburanti idonea a ledere il prestigio criminale del clan sul territorio.
Ad acclarare i legami degli indagati con il clan Giuliano e il boss Salvatore Giuliano vi erano alcuni dialoghi registrati tra Giuseppe Vizzini e Giuliano, dai quali emergeva la condivisione di propositi criminali e il comune interesse alla difesa della “reputazione”, nonché la sussistenza di rapporti imprenditoriali, atteso che il figlio di Giuliano e il figlio di Vizzini sono i due titolari dell’impresa agricola “La Fenice” avviata nel 2013 e attiva nel settore della produzione ortofrutticola.
Simone e Giuseppe Vizzini, dopo la notifica dell’ordinanza di custodia cautelare, sono stati condotti al carcere di Bicocca-Catania, mentre Andrea Vizzini nella propria abitazione in regime di arresti domiciliari.