Operazione Condor, carabinieri
Tutti hanno negato in aula di aver subito pressioni o imposizioni. Uno di loro ha anche ribadito di non conoscere gli imputati e di aver saputo dei loro guai giudiziari, così come il fatto di essere egli stesso tra le persone offese, leggendo alcuni articoli di stampa. Tra questi quelli di Grandangolo. Tre imprenditori agrigentini sono stati sentiti questa mattina, davanti la seconda sezione della Corte di appello di Palermo, nel processo di secondo grado scaturito dall’inchiesta Condor. L’operazione, eseguita due anni fa dai carabinieri di Agrigento, fece luce sulla riorganizzazione di Cosa nostra e della Stidda nella parte orientale della provincia. Si tratta di imprenditori che sarebbero stati taglieggiati da alcuni esponenti delle cosche di Favara e Ravanusa e che mai prima di oggi erano sentiti ascoltati. Gli episodi contestati, mai denunciati, sono emersi grazie ad alcune intercettazioni e pedinamenti. I tre imprenditori, persone offese nel processo che non si sono mai costituite parte civile, hanno però ribadito di non aver mai subito alcuna pressione, negando qualsiasi richiesta estorsiva avanzata ai loro danni.
Il processo, che si celebra davanti la Corte presieduta dal giudice Raffaele Malizia, è ormai alle battute finali. Il prossimo 10 aprile verrà sentito in aula un perito che dovrà relazionare su alcune intercettazioni. Poi sarà la volta della requisitoria del procuratore generale e delle arringhe difensive. Nove le persone che siedono sul banco degli imputati, tutte condannate nel giudizio di primo grado per un totale di oltre ottanta anni di reclusione: si tratta di Giuseppe Chiazza (20 anni di reclusione), ritenuto l’astro nascente della Stidda di Palma di Montechiaro; Nicola Ribisi (14 anni, 2 mesi e 20 giorni) e Giuseppe Sicilia (9 anni, 10 mesi e 15 giorni), ritenuti rispettivamente i capi delle famiglie di Cosa nostra di Palma di Montechiaro e Favara; Domenico Lombardo (10 anni e 4 mesi); Luigi Montana (3 anni, 6 mesi e 20 giorni); Luigi Pitruzzella (7 anni e 8 mesi); Baldo Carapezza (6 anni e 8 mesi); Rosario Patti (5 anni); Francesco Centineo (4 anni e 2 mesi e 20 giorni); Ignazio Sicilia (2 anni e 8 mesi).
L’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha puntato i riflettori sul riassetto delle famiglie mafiose di Cosa nostra e della Stidda nella parte orientale della provincia di Agrigento e, in particolare, tra Favara, Palma di Montechiaro, Licata e Canicattì. I militari dell’Arma, durante le indagini, hanno raccolto importanti indizi sul controllo delle attività economiche nel territorio di Palma di Montechiaro, con riferimento al settore degli apparecchi da gioco e delle mediazioni per la vendita dell’uva (le cosiddette sensalie), e delle “messe a posto” a Favara con danneggiamenti a seguito di incendio. Le accuse – a vario titolo – sono associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.