E’ tornato in carcere, quel carcere che sembrava aver lasciato per sempre diventando collaboratore di giustizia, pentito come si dice quando si vuole tagliare corto. E’ stato un pentito di rilievo Ignazio Gagliardo, 60enne, il primo a rivelare i segreti di Cosa nostra e Stidda di Racalmuto, legatissimo (a delinquere) a Maurizio Di Gati, capo della famiglia mafiosa dell’intera provincia agrigentina, divenuto pentito anche lui.
Ignazio Gagliardo si consegnò al personale della Squadra mobile di Agrigento il 20 agosto del 2004 appena atterrato in aeroporto a Catania. Aveva già trascorso diversi anni da latitante ed aveva trovato riparo in Sudafrica dove – ha raccontato agli inquirenti – aveva vissuto senza problemi conducendo una vita agiata. La decisione di pentirsi la prese dopo aver appreso che la moglie era gravemente malata. Per consentire cure adeguate, che in Sudafrica non potevano essere garantite, preferì rientrare in Italia, farsi arrestare e lasciare nelle mani di medici italiani la consorte. In verità, il racalmutese cominciò a collaborare con la giustizia due anni dopo il suo arresto maturando tale decisione lentamente e da recluso.
Le sue dichiarazioni, arrivate prima del pentimento di Maurizio Di Gati e del fratello Beniamino, tracciarono le linee guida che consentirono agli investigatori di scoprire compiutamente la guerra tra mafia e stidda che ebbe proprio in Gagliardo uno dei protagonisti principali. Gagliardo svelò le trame e le strategie dei due gruppi criminali contrapposti e pagò in prima persona un prezzo altissimo con l’uccisione del fratello Salvatore in occasione della prima strage di Racalmuto. Accusato di innumerevoli reati tra cui l’omicidio e l’associazione mafiosa, Ignazio Gagliardo entrò nel programma di protezione, scontò la sua pena, che era stata sensibilmente ridotta grazie ai benefici delle leggi premiali per i collaboratori di giustizia, tornando ad essere un uomo libero. Recentemente, lo scorso aprile, grazie alle sue dichiarazioni ha fatto condannare per mafia un importante imprenditore Calogero Romano, 68 anni, di Racalmuto, per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’impianto accusatorio, avrebbe stretto un patto con l’allora esponente di Cosa nostra Ignazio Gagliardo, dipendente della sua ditta ed ex braccio destro del capomafia Maurizio Di Gati. Un patto che sarebbe durato fino al 2006, anno in cui Gagliardo decise di collaborare con la giustizia. Oltre la condanna Romano ha avuto sequestrato beni per 120 milioni di euro.
Da molto tempo, tuttavia, il racalmutese non ha più fatto parlare di sé tranne in un caso e per via indiretta. Il fratello Luigi, nel maggio del 2012, uccise, forse in preda ad un raptus, padre e madre: Antonino Gagliardo, 82 anni, e Rosa Amore, 74 anni. Poi, Luigi Gagliardo, si tolse la vita.
Dal silenzio più totale Gagliardo è ricomparso, balzando agli onori della cronaca, prepotentemente adesso per una brutta vicenda, una tentata estorsione aggravata commessa con modalità mafiose per l’aggiudicazione di un immobile all’asta. E’ stato arrestato dalla Squadra mobile di Latina insieme ad altre tre persone: Ferdinando Di Silvio detto Gianni, esponente dell’omonimo clan e fratello di Ferdinando Lallà; Patrizia Balestrieri di Latina e Paolo Vecchietti. Divieto di dimora invece per la sorella della Balestrieri, Lucia. I provvedimenti cautelari, richiesti dai pm della Direzione distrettuale antimafia Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri, sono stati firmati dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma Gabriele Tomei.
Scrive la Questura di Latina in un comunicato stampa: “Le indagini hanno preso il via a ottobre dello scorso anno in seguito alla denuncia di un uomo di Latina il quale ha raccontato di aver subito pressioni per vendere un appartamento di via Attilio Regolo, a Campo Boario, che lui si era aggiudicato all’asta. Nell’immobile in questione abitavano Lucia Balestrieri e Salvatore Ciotola, ritenuto vicino a clan camorristici della città di Napoli e condannato a 22 anni di carcere per avere supportato i sicari che uccisero il boss Gaetano Marino sul lungomare di Terracina. L’uomo sta scontando quella pena agli arresti domiciliari nel capoluogo pontino. Gli investigatori hanno accertato una serie di atti intimidatori realizzati, a partire dal luglio dello scorso anno, ad opera di Gagliardo (esponente di una cosca mafiosa dell’agrigentino con un precedente per omicidio), di Patrizia Balestrieri, considerata la mandante e di Vecchietti. Nel corso di alcuni incontri – in occasione dei quali vi sarebbe stata l’opera di mediazione svolta da Ferdinando Di Silvio detto Gianni – alla vittima sarebbe stato consigliato di vendere l’immobile ad un prezzo inferiore a quello di mercato ai precedenti proprietari, presentati come persone poco raccomandabili originarie di Napoli, con l’avvertimento che rifiutare tale proposta lo avrebbe esposto a non meglio specificate ritorsioni. Successivamente, gli sarebbe stato comunicato che i precedenti proprietari non erano più interessati a rientrare in possesso dell’abitazione, ma pretendevano 12mila euro per considerare chiusa la questione. Ai suoi tentennamenti, l’esponente della famiglia Di Silvio avrebbe affermato di non poter fare più nulla per aiutarlo, lamentandosi altresì per la mancanza di rispetto subita e pretendendo, per ciò solo, il pagamento immediato di 2mila euro. I provvedimenti sono stati eseguite tra le città di Latina, Roma (dove è stato preso Gagliardo) e Napoli. Contestualmente, sono stati eseguiti decreti di perquisizione personale e locale nei confronti di tutti gli indagati e presso la sede legale e le unità locali di una società riconducibile e presso la sede legale e le unità locali di una società riconducibile a Gagliardo. Accertamenti che potrebbero rivelare altre dinamiche attorno all’ex boss di Cosa Nostra agrigentina trapiantato a Roma”.