“Tu non ha capito che se a te ti arrestano un bordello scoppia, Gaetà hai capito? Hai capito o no? Tu non sei il bello… tu sei il grande usuraio… il grande cravattaio di Canicattì… e poi vedi come ti arriveranno le denunce… appena ti scivola il piede ne hai 300 che ti denunciano”. Così un avvocato, intercettato dalle cimici degli investigatori, si rivolgeva a Gaetano Marturana, il 51enne di Canicattì (AGRIGENTO), condannato dalla Corte d’Appello di Palermo nel marzo del 2013 a 8 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata all’usura, all’estorsione, alla ricettazione, alla detenzione illegale di armi ed esplosivi, al danneggiamento, all’incendio, alla calunnia, alla truffa, al falso. Stessa sorte anche per il fratello Roberto e per la madre Angela Luvaro, condannati però a cinque anni. A tutti e tre oggi la Polizia di AGRIGENTO ha sequestrato beni per un valore di circa 2milioni di euro. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale di AGRIGENTO ha emesso il provvedimento accogliendo la proposta del questore Mario Finocchiaro. Gli accertamenti economico patrimoniali sono stati effettuati dalla divisione di Polizia anticrimine, diretta da Giovanni Giudice, e dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza agrigentina. A fare luce sul giro di usura fu nel 1998 l’operazione, denominata ‘Tie break’ che portò all’arresto di Gaetano Marturana e di altre 37 persone. Le vittime della famiglia di usurai erano semplici cittadini, piccoli imprenditori e grandi imprese assicurative, che per pagare i debiti e gli interessi non soltanto consegnavano denaro contante e assegni, ma anche garanzie come promesse di vendite con il rilascio di procure speciali su beni immobili di loro proprietà.
“In molti casi quando le vittime non riuscivano a saldare i debiti – spiegano gli investigatori – si verificava la ‘vendita’ a Marturana e ad altri suoi familiari del bene immobile oggetto della garanzia a prezzi enormemente inferiori al valore di mercato o, addirittura, senza reale alcun corrispettivo per il venditore-vittima”. Per convincere le sue vittime a pagare Gaetano Marturana non esitava a usare la violenza, attentati a colpi di arma da fuoco come quelli esplosi nel giugno del 1998, quando le cimici degli investigatori captarono 5 colpi di pistola e una frase: “Cinque colpi, non è uscito nessuno… sarà morto… ci saranno arrivati dentro i proiettili”. Ma l’episodio più grave attribuito a Marturana è l’omicidio di Angelo Anello, ucciso il 19 luglio 2005. Una vicenda per cui, unico imputato, è stato condannato all’ergastolo, anche se in attesa di sentenza definitiva. Un delitto per il quale è stato arrestato nell’aprile del 2008 dopo le indagini condotte dalla Squadra mobile di Caltanissetta e dal commissariato di Canicattì. Secondo l’accusa Marturana avrebbe stipulato con Anello, approfittando del fatto che quest’ultimo era praticamente analfabeta, un atto di compravendita di un terreno coltivato a vigneto del valore di 170mila euro sborsando solo 15mila euro. Dopo tre anni quando Anello aveva deciso di procedere per le vie legali, Marturana lo avrebbe ucciso.