Onusto di un centinaio di film, di una Coppa Volpi veneziana, di David di Donatello, di Nastri d’argento e di Ciak d’oro, Silvio Orlando ritorna ad Agrigento con “La vita davanti a se”, capolavoro di Romain Gary e capolavoro (ne siamo certi) nella carriera di Orlando che lui interpreta e dirige.
L’ultima sua apparizione recente è stata in “Siccità” film di Virzì dove interpreta lo sperduto Antonio uscito dal carcere in cerca della sua famiglia. Alzi la mano chi ha dimenticato la sua interpretazione, (in “The young Pope”), dell’andreottiano cardinal Voiello che tiene e accudisce personalmente nei suoi appartamenti vaticani un disabile grave, Girolamo, a cui dedicherà una epocale orazione funebre in una basilica di san Pietro ricostruita ad hoc dal regista Sorrentino. Senza dimenticare Romain Gary, grande scrittore, partigiano, diplomatico francese e gran gentiluomo fino al punto che quando si uccise, indossò una vestaglia rosso vermiglio affinche il colore del sangue non risaltasse troppo agli occhi del prossimo.
Bisogna essere grati a Silvio Orlando per aver portato sulla scena “La vita davanti a se” che come romanzo vinse il premio Goncourt e come film un Oscar. Un omaggio dovuto ad uno scrittore che non mirava alla vanità o visibilità letteraria tanto da firmare parecchi dei suoi romanzi con uno pseudonimo.
Oggi “La vita davanti a se” diventa un testo teatrale capace di cambiare la vita e i rugginosi paletti mentali dello spettatore e che, soprattutto oggi, meritano di essere scardinati.
E’ la storia di un amore materno che si svolge in una banlieue parigina dove Madam Rose, ex prostituta ebrea si occupa dei bambini orfani o abbandonati dalle sue più giovani colleghe.
Orlando si mette dentro la narrazione con l’innocenza dell’orfano musulmano Momò. Struggenti i suoi dialoghi con il fantoccio Momò che richiama il “Window” del naufrago del film “Cast Away” a denotare solitudine ed emarginazione che appare consona per un attore che ha vissuto la sua infanzia nella “felicità condizionata” dei quartieri del Vomero e nella temperie dei De Filippo di cui Orlando ha portato in scena ben due testi teatrali.
Marginalità e multiculturalità sono i temi attualissimi che Orlando-Gary ci suggeriscono con la schiettezza e la buffa crudeltà che i bambini sanno esprimere. La scena è scarna e simbolica con un castelletto di povere case, quattro sedie di asilo e una musica discreta che irrompe con le sue sonorità magrebine interpretate da Simone Campa (chitarra battente, percussioni e direzione musicale), Gianni Denitto (clarinetto e sax), Maurizio Pala (fisarmonica), Kaw Sissoko (kora e djembe).
Alla fine gli applausi prorompono impetuosi e Orlando omaggia il pubblico con un improvvisato concertino dove lui stesso suona il flauto traverso e chiudendo con una trascinante tarantella lancia il suo messaggio “Bisogna volersi bene”.
Foto di Diego Romeo