“Quannu si voli beni” visto al “Teatro della Posta vecchia” è come sempre rivelatore del lavoro di Mimmo Galletto, sospeso fra tradizione e ricerca, teso alla scoperta di un «teatro sensibile», incentrato sull’emozione e sul corpo dell’attore.
Un atto unico di circa 45 minuti che Mimmo Galletto riesce a strappare allo stereotipo delle “corna” sia il testo e personaggi, tentando di restituire la forza eversiva originaria del suo corpo in rivolta, che viene posto al centro della scena, pensata come il filmico “carnage” di polanskiana memoria, una feroce macchina-trappola che ha la forza di suscitare nello spettatore risate liberatorie di gioia (il pubblico infatti “scaccania”).
Un testo che soprattutto questa volta è costruito dall’autore essenzialmente su se stesso , lasciando come isole decorative gli altri due personaggi, quello della moglie casalinghetta (Brunella Alba) invaghitasi di un avvocato (Enzo Cardella) con tresca in atto e che al levar della tela canticchia stirando camicie e con lo sguardo proteso verso la finestra o balcone dell’amante. La scena è scipita, lo sguardo è privo di un possibile desiderio che non fa fatica ad essere simulato neanche quando entra il marito (Galletto) che ha subodorato il tutto preparando una trappola di fine dialettica annichilendo i due fedifraghi e proponendo all’insulso avvocato un cordiale scambio di mogli. Vecchie come il mondo, le corna sono qui sublimate da questa richiesta di scambio con una calma e divertita ferocia che trova pochi riscontri in letteratura e sulla scena. Addirittura va oltre quella semplificazione che ne ha fatto sempre la cronaca dove i fatti di corna nell’alta borghesia vengono liquidati sulle riviste di gossip, nella piccola borghesia con la dicitura “che non si sappia in giro” e nel cosiddetto “popolo” le corna vengono risolte con una coltellata o con una pistolettata. Qui Galletto si siede con calma al desco familiare, parlicchia con la moglie e, addirittura, arriva a suggerirle di chiamare l’avvocato per offrirgli un buon caffè. Per l’incauto avvocato che per agevolazioni di sceneggiatura accetta l’invito, il caffè diventerà amarissimo allorchè gli verrà proposto lo scambio delle mogli soppesandole sulla bilancia di una giustizia dinanzi alla quale “non ci dovranno essere altre presenze”.
Una giustizia amministrata nel segreto del tinello perché la cautela non è mai troppa per i piccoli uomini feroci del paesotto di turno.
La dialettica è stringente, la teatralità è assicurata da questa novità scambista che si allinea ad una postmodernità a luci rosse molto di moda nei quartieri alti come nei bassi, cosiddetti, napoletani. E poi basta cliccare su internet dove tra gli altri il sito di Gleeden propone ”uno spazio protetto per poter contattare gli infedeli di tutto il mondo in totale sicurezza! Completamente gratuito per le donne”.
Il tutto conforme, come narravano Pirandello e altri grandi, ad una Sicilia terra di superstizioni e di vuoti formalismi, di religiosità un po’ ottusa, limpida metafora della contraddittoria vicenda umana, densa di umori sotterranei e di misteriosi significati, metafora molto adatta a demistificare le insulse convenzioni sociali, a smascherare la “Forma” che cela l’autenticità della “Vita” operante silenziosamente in ciascuno di noi.
Riflessi che rimbombano nelle altre due scene, già conosciute, che Mimmo Galletto ha offerto agli spettatori: l’episodio della dolce zitella e del procacciatore di posti per raccomandazione interpretato da un Claudio Gaziano che evoca la voce di Mussolini con incredibile realismo.
Testo e foto-gallery di Diego Romeo