Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Micaela Raimondo, ha firmato una misura cautelare con la quale dispone l’arresto di Giuseppe Migliara, 61 anni, Filippo Freddoneve, 59 anni, e Giuseppe Freddoneve, 34 anni. Questi ultimi due sono rispettivamente padre e figlio. Tutti sono rimasti ai domiciliari con obbligo del braccialetto elettronico.
Due settimane fa, analogo provvedimento cautelare era stato firmato dal Gip del Tribunale di Palermo Filippo Serio su richiesta del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Alessia Sinatra. Il giudice aveva però escluso la contestazione dell’aggravante mafiosa dichiarando, dunque, la propria incompetenza territoriale.
Per tale motivo l’intero fascicolo è stato inviato alla Procura della Repubblica di Agrigento guidata dal facente funzioni Salvatore Vella che prontamente, insieme al sostituto procuratore Paola Vetro, ha chiesto la cattura dei tre indagati che, pertanto, rimangono agli arresti domiciliari con obbligo di braccialetto elettronico
Giuseppe Migliara (attualmente residente nel bergamasco e difeso dall’avvocato Antonino Gaziano che preannuncia ricorso al Tribunale della Libertà di Palermo) è senza dubbio il personaggio principale dell’intera inchiesta condotta dal personale della Squadra mobile di Agrigento, guidata dal vicequestore aggiunto Giovanni Minardi.
I fatti contestati risalgono al 2019 e si sarebbero protratti fino alla scorsa estate.
Per tutti l’accusa è di tentata estorsione ai danni di tre imprenditori: due del settore raccolta rifiuti ed uno edile. I tre indagati avrebbero provato a intimidire e imporre assunzioni di amici e familiari, con messaggi minacciosi anche inviati su whatsapp, oltre a retribuzioni non dovute e rescissioni di contratti di locazione. I fatti sarebbero andati avanti dal dicembre del 2019 fino allo scorso agosto.
Decisiva la collaborazione degli imprenditori che non si sono piegati alle minacce e hanno denunciato le pressioni subite. Non indifferente è stato il contributo, in termini di assistenza e vicinanza, dell’intero personale della Squadra mobile che non ha mai fatto mancare appoggio, sostegno concreto e soprattutto ha condiviso la scelta degli imprenditori, sia quelli che operano nel settore dei rifiuti come Icos e Iseda che nel settore edile, come nel caso di Salvatore Incorvaia.
Tra le pagine della misura cautelare si scova una lodevole storia ancora non scritta sfuggita ai più e che riguarda quest’ultimo.
Incorvaia, padre dell’influencer Clizia, da anni personaggio in vista su scala nazionale, divenuta famosa nel 2020 perché cacciata dalla trasmissione televisiva Grande fratello a causa di una frase davvero infelice che inneggiava l’agire mafioso per aver apostrofato in questo modo, all’interno della casa, un giovane concorrente: “Tu sei un maledetto! Buscetta! Pentito! Sei un pentito! Un Buscetta, e io non parlo con i pentiti!”
L’influencer, che oggi ha messo alle spalle quella orribile vicenda, si pentì subito delle affermazioni sfuggite in un momento di rabbia, ma ciò non evitò l’espulsione dal celebre programma di Canale 5 ed una furibonda campagna mediatica che l’aveva messo in ginocchio.
Oggi, il padre – come hanno evidenziato le pagine dell’inchiesta, ha saputo lanciare un messaggio totalmente diverso, seppur sottoposto a pesantissime minacce profferite proprio da Migliara e che hanno coinvolto anche suoi cari.
Le “carte” raccontano, tra le altre cose che: Il 28 gennaio 2020 l’imprenditore edile di Porto Empedocle Salvatore Incorvaia riferiva alla Polizia giudiziaria di essere stato insistentemente cercato da Giuseppe Migliara che dal mese di novembre dell’anno precedente lo aveva più volte minacciato.
Precisava, in particolare, che il predetto gli aveva inizialmente chiesto l ‘affitto di un ponteggio che serviva ad un suo nipote e successivamente, nel mese di dicembre, gli aveva comunicato di essere interessato ad un locale di Porto Empedocle, di sua proprietà, ove insiste il “Bar Plano”. Proprio in relazione a tale immobile, Migliara, con toni arroganti aveva precisato “ci devi dare il bar Plano, non possono campare solo loro, dobbiamo campare pure noi” ed aveva chiesto di averne immediata disponibilità, pretendendo che Incorvaia rescindesse il contratto di locazione già stipulato con gli attuali conduttori e titolari del bar, esigendo una risposta a brevissimo giro.
Riferiva ancora Incorvaia di avere avuto, dopo tale richiesta, un’accesa discussione con il Migliara proprio nei pressi del bar, ove era stato convocato dall’indagato, che aveva persistito nel pressarlo, reiterando le medesime richieste con toni palesemente intimidatori, aggiungendo “vedi che ora ci siamo noi” – esprimendosi secondo le tipiche e ben note modalità di comunicazione mafiosa, al chiaro fine di assoggettare la vittima al suo volere, rivendicando con assoluta ed ostentata determinazione il controllo criminale del territorio di Porto Empedocle.
Incorvaia, nel frangente, aveva replicato al Migliara che i titolari del bar erano dei diligenti affittuari e che non avrebbe potuto improvvisamente rescindere il contratto in questione.
Successivamente a tale incontro, Migliara aveva tentato ripetutamente di contattarlo e, dal momento che Incorvaia non rispondeva alle telefonate, aveva iniziato ad inviargli messaggi intimidatori ed offensivi, nonché diverse foto raffiguranti la sua persona, dal chiaro ed inequivocabile significato simbolico. Incorvaia aveva quindi deciso di bloccare l’utenza del Migliara, seppur lasciando memorizzati i numerosi tentativi di chiamata o videochiamata ed i messaggi di testo ed audio che consegnava, su carta stampata, al personale di Polizia giudiziaria.
Migliara chiaramente manifestava la volontà di imposizione nei confronti di Incorvaia rimarcando l’intenzione di volere passare alle vie di fatto in caso di rifiuto e dimostrando di non temere l’intervento di altri soggetti a protezione dell’Incorvaia (”non appena loro sbagliano ti ‘nfussunu” (ti seppellisco ndr)”; “e ora, ora a questo gli dobbiamo insegnare com’è che si sta ne sta terra, perché se non ci vuole stare, questa è l’ora giusta, capito Totonè, nessuno è intoccabile”).