E’ iniziata con “Quartet”, la stagione teatrale del “Pirandello” e prosegue con malinconico successo la saga attoriale degli ultrasettantenni.
Dopo Quattrini, Blanc, Pambieri, Ponzoni ecco Lucia Poli e Milena Vukotic raccogliere i meritati applausi di un pubblico che, si spera, sia andato a rileggersi “Le sorelle Materassi” di Aldo Palazzeschi, qui in libero adattamento del grande specialista Ugo Chiti per la regia di Geppy Gleijeses e l’interpretazione di Marilù Prati, pioniera del teatro di sperimentazione, di Gabriele Anagni, Sandra Garuglieri, Gianluca Mandarini e Roberta Lucca. Musiche del siciliano Mario Incudine.
“Hai presente la pulizia di quelle case di vecchie zie dove la tragedia più grande è stata quella del gatto che ha rotto il vaso di vetro spacciato per cristallo di Boemia?”.
Questa frase racchiude in se la storia delle sorelle Materassi, raccontata da Aldo Palazzeschi.
Un piccolo mondo antico da guardare al microscopio con tutta l’attenzione pirandelliana alla lanterninosofia, all’umorismo e alla farsa dolorosa. E Palazzeschi qui mescola pathos e ironia, grottesco e pietà nel riquadro della asfissiante vita di un paesino toscano degli anni venti che può essere benissimo fatto combaciare sulla nostra Girgenti di allora e, perché no? Agrigento di oggi.
Ma andiamo con ordine.
Le sorelle Teresa e Carolina Materassi – riassume Gleijeses – sono due ricamatrici cinquantenni che, grazie ad una vita di rinunce, hanno acquisito una posizione di prestigio presso la buona società fiorentina. Con loro vive la sorella minore, Giselda, riaccolta in casa dopo un fallito matrimonio con un nobile dissoluto. L’equilibrio familiare viene sconvolto dall’arrivo di Remo, figlio di una quarta sorella morta ad Ancona: bello, spiritoso e pieno di vita.
Il giovane approfitta dell’affetto e delle cure delle zie più anziane per soddisfare tutti i suoi capricci, spendendo più di quanto le zie guadagnino. Giselda è l’unica a rendersi conto della situazione, ma i suoi avvertimenti rimangono inascoltati. Per soddisfare le richieste di Remo, Teresa e Carolina spendono tutti i loro risparmi e si indebitano al punto di dover vendere la casa e i terreni ereditati dal padre.
La regia è calibratissima e rispettosa del romanzo in sintonia con l’adattamento di Chiti mentre le interpreti tre sorelle ( Poli, Vukotic e Prati) dispiegano con la finezza e la sobrietà di grandi attrici, il loro ruolo di vittime ingenue e sacrificate ad una vita raccolta e austera che viene sconvolta e ancor più impoverita dal nipote viveur.
Una sorpresa le connotazioni della “serva” Sandra Garuglieri che ricorda l’Ave Ninchi del film omonimo e le musiche di Mario Incudine che avvolgono una scenografia da cecoviano “giardino dei ciliegi” con quell’incombente e nodoso albero che si staglia nel controluce.
Dicevamo dei sapienti tocchi di regia che iniziano ad apertura del sipario con le “ombre cinesi” delle due sorelle che dialogano con un alto prelato con la mitria che, per chi ha letto il libro, è riconducibile a Pio X o se volete a Pio XII perché Palazzeschi negli ultimi decenni di vita fu “pacelliano” convinto e di questo resta traccia nel suo romanzo “Roma”.
Ma oggi le “Sorelle Materassi”, guardate in tralice e in trasparenza cosa ci possono dire e ricordare?
Per quanto ci riguarda una sottotraccia di lettura la troveremmo in “tre sorelle – popolo agrigentino”, risparmiatore e individualista, generoso ”cum grano salis” ma (in)consapevole sostenitore di un “nipote Remo politico” che gli ha dimezzato i risparmi e ucciso le speranze.
Nell’Agrigento del piccolo mondo pirandelliano potrebbe essere un bel discorso divulgativo per chi ha orecchie da intendere.
Se vogliamo poi scarnificarci, chiediamoci dove erano le agrigentine Materassi che negli ultimi cinquant’anni non hanno mai fatto una barricata per ottenere una decente erogazione idrica mentre oggi che l’hanno avuta non riescono a proteggerla?
Testo e foto di Diego Romeo