Straordinaria apertura, ieri sera, della stagione teatrale agrigentina che quest’anno annovera tra l’altro ben tre rassegne in scena al Circolo Empedocleo, al Teatro della Posta Vecchia e al “Teatro Pirandello”.
Alle 18 e 15 è toccato a “Camera Ridens” di Mario Gaziano e Giuseppe Adamo, appena un’ora dopo in contemporanea col teatro godereccio e cinico di Ettore Petrolini, nella “Sala rosa” del Teatro Pirandello . trenta spettatori tirati a sorte tra gli abbonati, accettavano la bella e intelligente proposta del duo “Tirinnocchi-Aronica” (direttore e presidente della Fondazione) di assistere alla “Cena” di Giuseppe Manfridi con la regia di Walter Manfrè.
Un testo degli anni novanta diventato ormai un cult attualissimo del “teatro di persona” secondo la definizione di Ugo Ronfani, un grande critico teatrale i cui saggi e recensioni i nuovi giornalisti affluenti dovrebbero leggere e rileggere come “Bibbia portatile”.
Manfridi-Manfrè è un binomio affiatatissimo che stavolta risalta maggiormente con l’interpretazione di un quartetto di attori a iniziare da Andrea Tidona (visto recentemente in “Vestire gli ignudi” regia di Gaetano Aronica), Chiara Condrò, Stefano Skalcotos e Cristiano Marzio Penna. I trenta spettatori entrano nella “Sala rosa” dove è stata apparecchiata una grande tavola e trenta calici di cristallo vengono ripieni di bianco nettare da un maggiordomo paludato, man mano che i commensali vi accedono.
A capo tavolo Andrea Tidona (il padre, si saprà poi), seduto impassibile e silenzioso ma già un ghigno gli colora la mascella. Esordisce con una battuta riferentesi ad una cena normale ma tutte le allusioni che poi vomita tra il detto e il “non detto” (come nelle commedie di Pinter) lo candidano ad essere il solito torbido orco, un Weinstein familiare che propone e dispone da padre padrone. Detta le regole del gioco, sempre sicuro di farla franca, umiliando dapprima il maggiordomo (Marzio Penna) con ironia sferzante che poi diventerà tragica allorchè la figlia Giovanna (Chiara Condrò) si presenta improvvisamente alla cena con livido atteggiamento di sfida insieme a Francesco (Skalcotos) annunciato come marito. Il padre incassa la notizia, pretenzioso e arrogante e da qui inizia una fenomenale (come scrittura e come interpretazione) campagna di delegittimazione della figlia e del marito dove il “non detto”, l’allusivo torbido intreccio “familiar-incestuoso” risale gradualmente i piani alti della devastazione morale costringendo al pianto il fragile Francesco che alla fine esplode massacrando di botte padre e maggiordomo, rischiando perfino la rottura con Giovanna che dapprima inutilmente gli aveva chiesto di resistere.
Tutto giocato su sguardi taglienti, su mascelle contratte che solo la vicinanza dello spettatore all’attore può rivelare.
Il testo, come altri di Manfridi, è stato scritto negli anni novanta, gli stessi anni in cui Harold Pinter scriveva testi come “Ceneri alle ceneri” o “Il compleanno” o quel “Ritorno a casa” che qualche anno fa si è visto al “Teatro della Posta Vecchia” per la regia di Francesco Capitano e l’interpretazione dell’agrigentina Marcella Lattuca che in quella occasione dimostrò le sue duttilità di attrice.
Con “La cena“ di Manfridi offerta dalla Fondazione Pirandello è come se fosse tornata a soffiare la crudele ventata pinderiana insieme a un inevitabile tocco di nordico “kammerspiel”.
Buoni segni per il teatro agrigentino che continueranno sabato sera al “Teatro della Posta Vecchia” con un testo (Madame Marguerite”) che inaugura la rassegna del “Teatranima” in memoria di Mariuccia Linder e che fu la punta di diamante di attrici come Anna Proclemer, Annie Girardot e Elisabetta Pozzi vista la scorsa estate al teatro del Parco archeologico con una strepitosa “Cassandra”.
Non senza dimenticare che nel mentre “piccoli attori” di provincia crescono e la “terapia teatro” esorcizza la “morta gora” della (stra)buttanissima Sicilia.