Scorribanda generazionale suggestiva e insolente, provocatoria e costruttiva di un Telemaco dei nostri giorni. Gaetano Aronica aspettava al varco, proprio lui “fuggito” da Agrigento in anni lontani per “fare teatro” e che adesso se lo concede questo risarcimento nella sua città che gli sta offrendo la possibilità di farlo e di comprenderne le ragioni.
Se ne aveva avuto sentore l’anno scorso nella messa in scena di questo spettacolo (“We can be heroes” come cantava David Bowie) sotto un ulivo saraceno della Kolymbetra, ma al confronto la messa in scena al “Pirandello” appare giustamente compiuta e più liberatoria di una tensione che Aronica si era portato dietro negli anni mentre inanellava fiction tv e squarci di cinema.
Interpretazioni (Moro e Borsellino fra tutti) che oggi si affacciano sulla scena e che lui rimembra con consumata esperienza. Sarà perché il nostro Telemaco (che qui ricorda il padre Tito con la felliniana adorazione nel film “8 e mezzo”) si è scelto tra l’altro un “ammiraglio” per questa navigazione dell’anima, quel Vittorio Alessandro straordinariamente inserito in una band dove eccellono Peppe Vita, Roberto Sciarratta, Ruben Russo, Luigi Gangarossa e Arianna Vassallo (anche assistente alla regia). Tutta gente nostrana, a riprova della consistenza del nostro “parco” artisti spesso parcheggiati ignominiosamente nell’attesa di un “capocomico” che li valorizzasse. Anche per loro un risarcimento dovuto, insieme a Silvia Frenda qui inserita in alcuni simboli cardine dello spettacolo.
Aronica con la sua cavalcata generazionale mette in gioco se stesso e ci fa capire quanto bisogno ci sia oggi per un ritorno a Leonardo Sciascia, a Pasolini, ad Aldo Moro. L’attore agrigentino cita anche Paolo Borsellino, non solo perché, come dicevamo, ha interpretato sullo schermo le loro figure ma accosta alla morte di Moro il tragico parallelismo della borsa di Moro, sparita, e dell’agenda di Borsellino sparita insieme all’altro particolare dei cinque agenti di scorta trucidati in via Fani come in via D’Amelio.
Combaciano persino i nomi delle mogli, Agnese Moro e Agnese Borsellino.
Un vero e proprio arrembaggio di passione civile il ricordo delle parole di Sciascia sulla giustizia mentre sofferti ripensamenti vengono dedicati al mondo familiare. Non è poco in tempi di “edipica uccisione del padre” oggi ritornati ad essere più ragionevolmente “i tempi di Telemaco”.
Racconterò, scrive Aronica nella nota di regia, “di come ogni cosa si trasformi e sfugga persino ai principi del tempo, il tempo degli eroi e il tempo della storia che non è mai lo stesso. Uomini straordinari dalle vite straordinarie sono i protagonisti di questo viaggio”.
Anche per questo si spera che lo spettacolo visto in matinée: da qualche migliaio di studenti venga discusso in aula alla stregua dell’educazione alla legalità e dell’educazione civica.
Se alla Kolymbetra Aronica sbucava dal buio come un alieno precipitato in terra, qui esordisce su una sedia sospesa in alto che poi plana sulla scena. Le parole sono quelle degli scritti corsari di Pasolini: “Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta, dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con il lettore che io del resto considero degno di ogni scandalosa ricerca”.
E poi quelle più lancinanti di Aldo Moro scritte dalla sua prigione: “Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”.
In tanta defatigante e drammatica avventura umana, Gaetano Aronica ha trovato lo spazio dell’ironia e del sorriso quando in uno dei tanti ammiccamenti familiari ricorda la curiosità degli amici che, dopo averlo visto sullo schermo recitare con Monica Bellucci, gli chiedevano: “Ma tu alla Bellucci chi ci facisti? – “Nenti ci fici, c’era il regista”.
Con inevitabile e incredulo “ma vaffa….”.
Testo e foto di Diego Romeo