Sorprese a raffica nel processo “Discount” che vede imputato l’ex re dei supermercati Giuseppe Burgio per una distrazione di beni che ammonterebbe a circa 50 milioni di euro.
Dopo la raffica di costituzioni di parti civile, se ne contano quasi 80 di cui 66 in unica costituzione (ex dipendenti e creditori di vario genere), degli scorsi giorni questa settimana – davanti al collegio presieduta da LuisaTurco – è stato escusso il primo teste chiamato dalla pubblica accusa rappresentata dai sostituti procuratori Simona Faga e Alessandra Russo. Si tratta del curatore fallimentare di una delle quattro società coinvolte nell’inchiesta (e fallite): la Gestal srl. “Era una società che gestiva diversi supermercati e, una delle sue perculiarità, era rappresentata dal fatto che avesse quasi un unico fornitore (Cda spa) sempre di proprietà del gruppo Burgio. Il volume d’affari era inizialmente abbastanza consistente e si aggirava tra i 15 e i 18 milioni di euro fino al 2011 quando comincia il crollo. Tra il 2010 e il 2011 la società presentava un forte squilibrio e una tensione societaria (per la verità fin dal 2007 si poteva notare tale situazione). I debiti erano molto superiori rispetto al patrimonio (70 volte in più). Una parte dei debiti – quelli con l’erario (Iva, buste paga) ad esempio – venivano nascosti nei bilanci. Ma anche con Unicredit vi era un debito e lo stesso Burgio mi disse che una delle cause del fallimento era proprio la sospensione dei fondi di Unicredit. Ma la cosa che ci colpì fu l’analisi degli estratti conto. Praticamente Unicredit aveva occultato il debito della società. Ma ci sono state anche altre anomalie come quella riguardante i tre supermarket poi falliti (Favara, Palma di Montechiaro e Porto Empedocle): nei primi due casi (211 mila e 216 mila euro il valore) recuperammo – dopo 4 tentativi di vendita andati male – il valore delle attrezzature (5 mila euro per Favara, 11 mila euro per Palma di Montechiaro). Il terzo punto vendita, al centro commerciale Le Rondini, fu oggetto di una vendita alla HO.P.A.F. S.r.l. per 50 mila euro che – dopo 18 giorni – affitta lo stesso market ad un ‘altra società, la GSB srl.,(sempre del gruppo Burgio) ad un canone annuo di 300 mila euro. A ricavi costanti i debiti rimangono sempre costanti e – viceversa – se dovessero diminuire i ricavi analogamente dovrebbero scendere i debiti. In questo caso però non avvenne, anzi i ricavi diminuivano e i debiti rimanevano sempre gli stessi. Inoltre le scritture contabili non erano aggiornate ( ultimo bilancio presentano nel 2008 ma la società è fallita nel 2012) e per questo abbiamo riscontrato non poche difficoltà a ricostruirlo.Già dal 2009 la società presentava perdite. Ho manifestato forti dubbi su una plusvalenza, avvenuta l’anno prima, che non aveva motivo di esistere dato che non c’era stata una rivalutazione di beni ne vendite. Questo meccanismo serviva solo per nascondere le perdite (quasi 11 milioni di euro nel 2009). Nel 2013 Burgio propose dei concordati fallimentari e si giunse ad un accordo sulla base di 3 milioni di euro. La proposta prevedeva l’utilizzo di una società creata ad hoc che – tramite un’altra inglese – avrebbe acquistato le quote societarie. La transazione non fu mai rispettata.”
In totale sono quattro le società coinvolte nella bancarotta: la “Cda spa”, sicuramente quella più di rilievo, la “Gestal srl”, la “Ingross” e “G.S.B srl”. Come si diceva, il periodo cruciale è tra la fine del 2011 e gli inizi del 2012, lasso di tempo in cui falliscono tutte le suddette società. Quest’ultime, infatti, sono state assoggettate ad una gestione “comune” facente capo esclusivamente agli interessi personali del Burgio, in violazione di ogni normativa civilistica e contabile e, soprattutto, in spregio delle ragioni dei creditori. Quello che risalta agli occhi degli inquirenti è come, attraverso un giro pazzesco di conti, prelievi e depositi, dal 2008 tutti i movimenti e i flussi finanziari in favore di Giuseppe Burgio sono di gran lunga superiori rispetto alle anticipazioni dallo stesso effettuate.