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Papa Francesco, il lungo giorno della sua elezione

di Maristella Panepinto

Pubblicato 10 ore fa

Il Papa è morto nel giorno del lunedì dell’Angelo, nel cuore dell’anno Santo. Ha tenuto duro ed é andato via da Pontefice. La voce ormai ridotta a un soffio, eppure con quel filo rimasto, ieri, dalla Loggia centrale delle benedizioni, in San Pietro, ha augurato la buona Pasqua ai trentacinquemila fedeli presenti. Il giro in Papa mobile, disegnando il perimetro davanti al colonnato del Bernini e così l’ultimo abbraccio alla sua Chiesa, alla sua gente.

É morto alle 7 e trenta del mattino di oggi. Alle sette di sera invece era stato eletto Pontefice, il 266° di Santa Romana Chiesa. Quel tredici marzo del 2013 eravamo lì, nella sala stampa della Santa Sede, accreditati per conto di Grandangolo Agrigento insieme a migliaia di giornalisti provenienti da ogni parte del pianeta. Tre fumate nere, prima dell’elezione di Bergoglio, quindi la corsa in piazza, perché dal comignolo, all’orario convenuto, sarebbe uscito il verdetto.

Il primo fumo pareva grigio, non si comprendeva bene. Quindi l’esultanza. Era fumata bianca, la Chiesa cattolica aveva di nuovo il suo Pontefice. C’era vicino a me una cronista spagnola, di Granada, che mi’abbracció senza conoscermi e lo fece con l’entusiasmo scanzonato che é di molti iberici.

Era stato eletto il Pontefice, quello “titolare”, perché uno emerito la Chiesa cattolica lo aveva già. Papa Francesco non subentrava a un Papa morto, ma a uno dimissionario, Joseph Ratzinger, che l’undici febbraio di quell’anno aveva rassegnato delle dimissioni inattese ed epocali, perché il caso di Benedetto XVI é stato il primo nella storia moderna e contemporanea del Papato. Ad annunciare il nome del nuovo successore di Pietro è stato il cardinale protodiacono Dominique Mamberti, che dalla loggia centrale della basilica ha scandito tremolante il nome di Bergoglio ed ecco lì per lì pensare a un italiano. Perché il cognome tale é. Quindi il sussurro generale tra la stampa.

Si tratta del gesuita Jorge Mario, che ha si origini nostrane, ma è nato e cresciuto in Argentina e ha sfiorato l’elezione al soglio pontificio proprio la volta di Ratzinger. Al momento dell’elezione, ha settantasei anni portati bene e la tempra di un uomo del popolo. Esordisce con un “buonasera” e da lì si comprende che Jorge Mario potrebbe essere il Papa della svolta. Non era mai successo che un Pontefice salutasse il mondo utilizzando una forma tanto conviviale.

La sua maniera di comunicare fa storia. Già dalla sua prima apparizione da Papa ci tiene a sottolineare che è “vescovo di Roma” e che desidera un rapporto interlocutorio con la sua gente, con i suoi fedeli. Se Karol Wojtyla era il Papa venuto da molto lontano, lui si definisce quello “venuto dalla fine del mondo”.

Non è azzardato il paragone. Bergoglio ha svolto il suo apostolato nella difficilissima Argentina, terra di povertà e dolore, di contraddizioni, scandali e miserie.

“Qui sibi nomen imposuit Francesco”.

É un gesuita che sceglie di essere Papa con  il nome del capo dei francescani.

La gente esulta, perché intravede la possibilità di una chiesa povera, reale, scalza, inginocchiata al livello della gente.

Papa Francesco non delude i fedeli e mantiene il piglio spontaneo che sarà la cifra di tutto il suo Pontificato. Il suo diktat di umiltà sarà quel “non dimenticate di pregare per il Papa”, per il quale di sicuro lo ricorderemo per sempre.

Dodici anni non semplici, intersecati da problemi personali, il Papa ha subito cinque ricoveri e due interventi chirurgici, e da gravi crisi mondiali. La pandemia, le guerre, taluni scandali della chiesa e quella piaga della pedofilia, sulla quale Bergoglio non ha mai fatto sconti.

Lo abbiamo visto da vicino nei giorni dell’elezione, la sera del 13 marzo, quindi il giorno dopo per la sua prima udienza generale in aula Paolo Sesto, dove dispensò sorrisi e tante parole semplici, giuste, misurate. Quindi la prima celebrazione in San Pietro, con il suo proclamare l’importanza del “camminare, edificare, confessare”. Lo abbiamo rivisto nel 2018 a Palermo, in occasione dei venticinque anni dall’assassinio di don Pino Puglisi. Era il quindici settembre, il Foro italico gremito ad uovo di gente. Ed eccolo vicino a noi, gli rubiamo uno scatto privilegiato, mentre benedice un neonato.

Se negli ultimi tempi abbiamo osservato un uomo anziano e profondamente provato dalla malattia, nel corso dei suoi anni ne abbiamo apprezzato una qualità su tutte: Papa Francesco era principalmente un uomo. Non ha restituito alla gente l’immagine lontana da alto prelato, quanto quella di un prete, d’un parroco si buono, ma autorevole, vicino a ogni suo fedele. Le scarpe comode, l’utilitaria, le passeggiate. Simboli e semi-simboli di un “pastore” che ha provato a cambiare taluni aspetti di Santa Romana Chiesa. Ci mancherà quell’umiltà reale e non filtrata dal volere apparire in luogo dell’essere. Ci mancherà quel suo parafrasare d’ogni volta “non dimenticate di pregare per il Papa”.

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