Mafia e appalti, indagini difensive di Natoli: “Ordine distruzione intercettazioni era un prestampato”
La vicenda che coinvolge Natoli - uno dei magistrati che hanno rappresentato l'accusa al processo Andreotti - riguarda un filone della cosiddetta inchiesta mafia-appalti
Colpo di scena nell’indagine che vede accusato di favoreggiamento a Cosa nostra l’ex pm antimafia palermitano Gioacchino Natoli. Una ricerca fatta dai legali del magistrato ha rivelato che l’ordine di distruzione delle intercettazioni e dei brogliacci dell’inchiesta sull’ imprenditore mafioso Buscemi, indizio, per la Procura di Caltanissetta del tentativo di Natoli di affossare gli accertamenti, era un provvedimento prestampato, all’epoca, normalmente usato quando si archiviava o in casi definiti con sentenza. Una prassi, dunque. I difensori di Natoli hanno trovato lo stesso ordine prestampato in ben 62 altri procedimenti.
La vicenda che coinvolge Natoli – uno dei magistrati che hanno rappresentato l’accusa al processo Andreotti – riguarda un filone della cosiddetta inchiesta mafia-appalti, svolta nel capoluogo siciliano agli inizi degli anni ’90 e, secondo alcuni, il vero movente della strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino che sarebbe stato ucciso proprio perchè non andasse a fondo al caso. A Natoli i pm contestano di aver insabbiato l’indagine, avviata dalla procura di Massa Carrara e confluita nel più ampio fascicolo mafia-appalti, per favorire esponenti mafiosi come l’imprenditore palermitano Antonino Buscemi.
Un piano ordito, a dire dell’accusa dall’allora procuratore Giammanco, nel frattempo deceduto, e dall’ex pm Giuseppe Pignatone, anche lui iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento aggravato. Per i colleghi di Caltanissetta, Natoli, dunque, avrebbe finto di indagare su Buscemi e su un altro imprenditore in odore di mafia, Francesco Bonura, disponendo intercettazioni lampo e “solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione”, evitando così che fossero trascritte invece conversazioni “particolarmente rilevanti”. Inoltre, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, l’ex pm avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. A sostegno della sua tesi la Procura nissena, che però le famose bobine le ha trovate, in quanto nessuno le ha mai cancellate, ha prodotto l’ordine di distruzione dell’epoca.
Da una ricerca negli archivi dell’ufficio inquirente di Palermo, i legali di Natoli hanno scoperto però che si trattava di una sorta di modulo pre-stampato allegato a tutti i procedimenti archiviati o definiti con sentenza, entrambi casi in cui le intercettazioni e i relativi brogliacci non erano più utili. Lo stesso ordine di distruzione, con la scritta a macchina “ordina la smagnetizzazione dei nastri” e quella a penna incriminata, “e la distruzione dei brogliacci”, risulta infatti in 62 di fascicoli relativi a indagini di diverso tipo (mafia, droga…). Quel che cambia nei moduli è ovviamente il numero del provvedimento di distruzione, la firma del magistrato che disponeva la smagnetizzazione e che non necessariamente era il titolare dell’inchiesta e la presa in carico (anche questa scritta a penna) della segreteria. La cancellazione dei nastri, dunque era una prassi – l’aveva detto lo stesso Natoli audito dalla commissione nazionale antimafia – ed era legata all’esigenza di riutilizzare le cassette. Inoltre, una volta smagnetizzati i nastri, evidentemente ritenuti non rilevanti, conservare i brogliacci sarebbe stato inutile. La difesa dell’ex pm continua nelle sue indagini difensive e ha inviato alla Procura di Caltanissetta una nota con le conclusioni dei primi accertamenti.