“Droga e ricatti in comunità a Favara”, unificati i due procedimenti ma un imputato è latitante
Uno dei sette imputati, un 65enne di Favara, è latitante ormai da cinque mesi
I due procedimenti aperti vengono unificati in un unico filone con sette imputati ma uno di questi è ancora oggi latitante. Lo ha disposto il presidente della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, Alfonso Malato, nell’ambito del processo scaturito dall’inchiesta “Dark Community”, l’indagine dei carabinieri di Favara che ha fatto luce su un giro di droga, maltrattamenti e anche un ricatto sessuale all’interno della comunità Oasi di Emmanuele di Favara.
Sono sette le persone che siedono sul banco degli imputati nello stralcio che segue il rito ordinario. Tra loro anche Giuseppe Papia, 65 anni, di Favara, latitante ormai da cinque mesi. Il suo difensore, l’avvocato Gianluca Sprio, ha prodotto questa mattina l’ordine di carcerazione emesso nei confronti dell’uomo nel settembre scorso. I carabinieri non fecero in tempo a notificare il provvedimento poiché Papia, in quel momento ai domiciliari, era sparito. Insieme a lui verranno processate in un unico filone altre sei persone: Antonio Presti, 37 anni; Calogero Rizzo, 36 anni (difesi dagli avvocati Calogero Vetro, Antonietta Pecoraro ; Paolo Graccione, 45 anni nato in Germania; Antonio Emanuele Gramaglia, 29 anni; Gaetano Gramaglia, 33 anni; Fiorella Bennardo, 43 anni di Favara (questi ultimi (tutti difesi dall’avvocato Daniela Posante). Processo che si è aperto formalmente questa mattina con la richiesta dei mezzi di prova delle parti. Il presidente del collegio, Alfonso Malato, ha dunque rinviato al 18 marzo.
Altri sette, invece, hanno scelto la via del rito abbreviato e il processo a loro carico è in dirittura di arrivo. Il prossimo 14 marzo il gup Iacopo Mazzullo emetterà la sentenza dopo che il pm Paola Vetro ha chiesto la condanna di tutti gli imputati con pene comprese tra i 3 ed i 12 anni di reclusione. Al centro dell’inchiesta c’è la comunità Oasi di Emmanuele. La struttura, che sulla carta si sarebbe dovuta occupare del recupero di persone con problemi psichici e di tossicodipendenza, si è ben presto rivelata una centrale di spaccio. La droga entrava e usciva con facilità e veniva venduta anche ai pazienti. E chi non riusciva a pagarla veniva “invitato” a saldare il debito con prestazioni sessuali. Tra le contestazioni anche un ricatto a sfondo sessuale con la minaccia di diffondere video e immagini compromettenti. La vittima, rappresentata dall’avvocato Samantha Borsellino, si è costituita parte civile.