Mafia: 10 misure cautelari tra Canicattì, Palma di Montechiaro e Licata
Operazione antimafia nell'agrigentino
Estorsioni a tappeto, intimidazioni, danneggiamenti e rapporti anche con la ndrangheta di Platì. La mafia agrigentina tenta di riorganizzarsi dopo la maxi operazione Xidy che, appena un anno fa, ha svelato interessi e dinamiche all’interno del mandamento mafioso di Canicattì. La risposta dello Stato è stata immediata. I carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento, insieme ai militari del Ros, hanno arrestato nove persone accusate di associazione a delinquere di tipo mafioso dedita al traffico di sostanze stupefacenti, a estorsioni ai danni di imprenditori e a danneggiamenti a mezzo incendio. L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo con il procuratore aggiunto Paolo Guido e il sostituto Claudio Camilleri, è stata denominata “Condor”.
GLI ARRESTATI
In carcere finiscono i capi delle famiglie mafiose di Palma di Montechiaro e Favara: si tratta di Nicola Ribisi, 42 anni, e Giuseppe Sicilia, 43 anni. Il primo, discendente di una storica famiglia di Cosa Nostra, era già stato arrestato e condannato a cinque anni e quattro mesi nel 2009. A Ribisi, ufficialmente disoccupato, lo scorso anno furono sequestrati beni (tra cui una lussuosa villa con piscina) per un valore di 750 mila euro. Giuseppe Sicilia, detenuto nel carcere di Novara, è ritenuto il vertice del clan di Favara ed era già stato arrestato nell’operazione Xidy nel febbraio scorso oltre che ad essere “sfiorato” nell’inchiesta della Dia “Kerkent” sulla scalata del boss Antonio Massimino. Insieme a loro sono stati arrestati Domenico Lombardo, 31 anni, commerciante di Agrigento; Giuseppe Chiazza, 51 anni, disoccupato di Palma di Montechiaro; Baldo Carapezza, 27 anni, operaio di Palma di Montechiaro. Ai domiciliari vanno: Salvatore Galvano, 52 anni, titolare di un deposito giudiziario ad Agrigento, arrestato venti anni fa nell’operazione antimafia San Calogero; Ignazio Sicilia, 47 anni di Favara, fratello di Giuseppe, arrestato venti anni fa nell’operazione antimafia San Calogero; Francesco Centineo, 38 anni, disoccupato residente a Palermo; Giovanni Gibaldi, 35 anni, di Licata. Obbligo di dimora per Luigi Montana, 51 anni di Ravanusa.
TUTTI GLI INDAGATI
Pasquale Alaimo, 54 anni, di Favara; Angelo Bellavia, 68 anni, di Licata; Fabiano Biancolilla, 50 anni, di Siracusa; Baldo Carapezza, 27 anni, di Agrigento; Francesco Centineo, 38 anni, di Agrigento; Antonio Chiazza, 37 anni, di Canicattì; Gioacchino Chiazza, 62 anni, di Canicattì; Giuseppe Chiazza, 51 anni, di Canicattì; Salvatore Curto, 39 anni, di Canicattì; Salvatore Galvamo, 52 anni, di Agrigento; Francesco Genova, 43 anni, di Palermo; Giovanni Cibaldi, 35 anni, di Licata; Domenico Lombardo, 30 anni, di Agrigento; Luigi Montana, 40 anni, di Ravanusa; Filippo Moscato, 66 anni, di Licata; Rosario Patto, 59 anni, di Palma; Luigi Pitruzzella, 35 anni, di Agrigento; Nicola Ribisi, 42 anni, di Palma di Montechiaro; Giuseppe Sicilia, 43 anni, di Favara e Ignazio Sicilia, 47 anni, di Favara.
I RAPPORTI TRA COSA NOSTRA E STIDDA
E oggi, come accaduto dodici mesi fa, emergono sempre più costanti rapporti tra le cosche di Cosa Nostra e quelle della Stidda, organizzazioni che negli anni novanta diedero vita ad una sanguinosa guerra in provincia, ma che oggi stringono alleanze e tessono trame comuni. L’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, è il naturale seguito della nota operazione “Xidy”. Questa seconda fase esecutiva dell’indagine svela nuovi retroscena e ridisegna gli assetti mafiosi in particolare di Favara e Palma di Montechiaro e la coesistenza con i cosiddetti “paracchi”. L’attività investigativa ha permesso di ricostruire il tentativo di uno degli indagati di Palma di Montechiaro di espandere la propria influenza al di là del territorio palmese, e segnatamente a Favara ed al Villaggio Mosè di Agrigento; emerso anche il ruolo di “garante” esercitato dal vertice della famiglia di Palma di Montechiaro a favore di un esponente della stidda, al cospetto dell’allora reggente del mandamento di Canicattì.
LE ESTORSIONI
E poi estorsioni, pizzo e “messe a posto” a tappeto: a Favara ai danni di imprenditori a cui sono stati danneggiati alcuni mezzi; nel territorio di Palma di Montechiaro, con specifico riferimento al settore degli apparecchi da gioco e delle mediazioni per la vendita dell’uva; al controllo illecito di una grossa parte del remunerativo settore imprenditoriale delle slot machines e degli apparecchi da gioco installati nei locali commerciali; all’attività estorsiva posta in essere in danno di un imprenditore, costretto ad astenersi dalla partecipazione ad un’asta giudiziaria finalizzata alla vendita di alcuni terreni; alla gestione di un impianto di pesatura dell’uva, i cui proventi sarebbero stati in parte destinati al mantenimento dei detenuti; all’estorsione – consistita nell’imposizione dell’assunzione di uno degli stessi indagati – ai danni di un’impresa aggiudicataria di lavori a Ravanusa; all’incendio ai danni del titolare di un’autodemolizione con deposito giudiziario.
LA DROGA
Ipotizzata anche l’operatività di una parallela struttura associativa con base a Palma di Montechiaro e diretta da soggetti indiziati di appartenere alla stidda, che gestiva il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. In merito a quest’ultima attività delittuosa, le attività investigative hanno permesso di raccogliere gravi indizi in ordine all’avvenuta commissione di diversi episodi di spaccio.