L’omicidio del giornalista Spampinato, caso ad una svolta dopo 50 anni?
Negli ambienti della Procura e' forte l'ottimismo, fondato sul fatto che decine di testimoni hanno finalmente collaborato alle indagini
Sono stati necessari cinquant’anni esatti per avvicinarsi alla soluzione di un doppio cold case: il delitto Tumino e l’omicidio Spampinato, entrambi a Ragusa. La Procura iblea – in particolare il sostituto Santi Fornasier al quale si deve la riapertura due anni fa dell’inchiesta – e’ infatti quasi al traguardo, che potrebbe essere tagliato – apprende l’AGI – entro tre o cinque mesi al massimo. Il caso e’ quello dell’ingegnere Angelo Tumino, esponente del Msi, mercante d’arte e playboy, ucciso il 25 febbraio 1972, otto mesi prima che il 27 ottobre il figlio del presidente del tribunale Roberto Campria sparasse mortalmente al giornalista dell’Ora Giovanni Spampinato che lo accusava di essere l’autore dell’omicidio Tumino.
Negli ambienti della Procura e’ forte l’ottimismo, fondato sul fatto che decine di testimoni hanno finalmente collaborato alle indagini portando alla scoperta di un “elemento nuovo”. In realta’ si tatta di un complesso di punti alla fine convergenti. In questi due anni i magistrati hanno seguito tutte le piste a suo tempo aperte: da quella del traffico di reperti antichi a quella del contrabbando di sigarette, dalle trame nere al legami con la Grecia dei colonnelli, fino alle questioni private adombrate in una lettera anonima pervenuta dieci anni fa all’allora procuratore Carmelo Petralia, probabilmente un depistaggio. E’ stato grazie soprattutto alle inchieste giornalistiche del tempo che la Procura ha potuto verificare ogni dettaglio, stabilendo per esempio che l’artista romano missino Vittorio Quintavalle visto con Tumino sarebbe stato in realta’ una persona diversa: scoperta, questa, nata da un migliore esame delle lettere tra Spampinato e Angela Fais, l’amica romana morta sei mesi prima del giornalista ragusano nella sciagura di Montagnalonga e nell’anno, il 1970, del tentato golpe Borghese. Coincidenze che hanno assunto adesso un nuovo significato. Parallela o collegata a questa e’ inoltre la pista sulla quale Roberto Campria si sarebbe mosso nel proposito di smascherare i trafficanti di sigarette lungo le coste iblee.
Il fatto realmente nuovo sarebbe giunto alle indagini proprio da questo fronte e grazie a uno scrittore siciliano, Stefano D’Arrigo, che nel 1991 stava per cominciare a scrivere un secondo romanzo marino dopo Horcynus Orca, volendo ambientarlo nella costa ragusana dove nel 1959 era stato in vacanza ospite in una casa di Caucana dell’amico di gioventu’ Cesare Zipelli, instancabile collezionista di opere d’arte oggi patrimonio della sua casa-museo di Ragusa. Parlando durante il soggiorno con i pescatori, cosi’ come fara’ nello Stretto di Messina lavorando al suo capolavoro, lo scrittore apprende che la zona da Punta Secca (dove nella fiction televisiva ha casa il commissario Montalbano) fino a Gela e’ teatro di un intenso contrabbando di sigarette con le coste africane e Malta.
Ci pensa per oltre trent’anni finche’ chiede a Zipelli di fornirgli una mappa dettagliata della zona, corredata anche di foto e della planimetria di tutte le strade secondarie che sboccano a mare nel raggio di oltre cento chilometri, nonche’ delle caserme della Finanza dislocate nella costa. Il 16 marzo cosi’ scrive al suo generoso amico: “Ho bisogno di avere sotto gli occhi un tratto di costa, che fosse piu’ scogliosa che sabbiosa, lungo un centinaio di metri, dove io (per orientarti nelle mie esigenze) potessi descrivere due villini in una zona solitaria: uno nella parte scogliosa, solo abitazione; l’altro sulla rena, acquartierato, perche’ il capomafia che ci sta possa eventualmente difendersi”. Zipelli gli indica in particolare la riviera di Scoglitti, la zona balneare di Vittoria, certamente ignorando che proprio li’ si erge davvero un villino proprieta’ di un boss, nientemeno che il capo storico della Stidda di Vittoria Peppe Cirasa, in quegli anni signore di un impero fondato sul contrabbando di sigarette come pure del traffico di armi, droga, antiquariato e reperti archeologici.
Ed e’ proprio il nome di Cirasa a comparire nella deposizione di Roberto Campria, le cui ragioni allora inascoltate hanno nondimeno ricevuto oggi un assist, spiegando altresi’ il ruolo avuto dal conducente solitario di una misteriosa Fiat 850 che sul luogo del delitto di Spampinato avrebbe assistito e documentato la morte del cronista.
La coincidenza dei luoghi darrighiani con quelli evocati da Campria, quanto all’area teatro di contrabbando di sigarette, e’ stata sorprendentemente notata dai magistrati ragusani che hanno quindi riletto con scrupolo il carteggio tra D’Arrigo e Zipelli dando nuovo significato alla dichiarazione di Campria resa sul boss dell’epoca alla luce anche dei suoi interessi per i reperti archeologici, oltre che per lo sbarco di sigarette. Una delle piste finora seguite ipotizza che Campria (morto nel 2007 dopo essere stato scarcerato e poi riabilitato nel 1986) uccide Spampinato, come osservava il procuratore generale Auletta nel processo d’appello, non per quanto ha scritto sul suo conto circa il delitto Tumino ma per cio’ che avrebbe potuto scrivere su un gruppo scultoreo di grande valore finito nelle mani di Tumino, elemento non apprezzato a suo tempo e oggi divenuto oggetto principale delle indagini nel quadro di possibili responsabilita’ della mafia nell’omicidio.
Tale ipotesi risponde appunto alla teoria sostenuta da Campria, tornata adesso in primo piano dopo l’accertamento della sua plausibilita’ circa il coinvolgimento della Stidda in una fiorente attivita’ di contrabbando nel Ragusano di cui nel ’59 D’Arrigo viene a conoscenza e nel ’91 Zipelli documenta la dislocazione. Il figlio trentenne del potente presidente del tribunale disse piu’ volte di temere di fare la fine di Tumino per mano di persone che lo tenevano in pugno e di una delle quali fece il nome al comandante della Finanza, il quale in aula ne confermo’ la tesi aggiungendo che si era offerto come agente provocatore. Ancor prima di uccidere Spampinato, Campria sostenne di essere stato contattato da una persona perche’ corrompesse un finanziere in modo da facilitare uno sbarco clandestino di sigarette del valore di duecento milioni, precisando che era prassi pagare i contrabbandieri con oggetti d’arte. Lo sbarco come gli altri era previsto nel mare tra Gela e Scoglitti, la cui costa era percio’ la piu’ sorvegliata dalla Guardia di finanza. Si tratta della stessa zona nella quale, poco piu’ di dieci anni prima, D’Arrigo aveva pensato (anche per la ricchezza di giacimenti archeologici soprattutto a Caucana) di ambientare la sua storia di mafia e di mare. Scambiandosi lettere con l’amico Zipelli, non poteva certo immaginare che cinquant’anni dopo i fatti avrebbe offerto a un caso giudiziario una possibile soluzione.