Agrigento: “La donna scheletro“ riemerge dal mare (gallery)
Ancora un “messaggio”, anzi una metafora-lezione sull’amore e sull’innamoramento con annessi autenticità e dono reciproco di se. Ce lo suggerisce il settimo appuntamento della Rassegna teatrale dedicata all’attrice agrigentina Mariuccia Linder in scena al “Posta Vecchia” di Agrigento promossa dal “Teatranima”. Il testo, dissepolto dalla grande mole di fiabe della specialista in psicologia etnoclinica, junghiana, […]
Ancora
un “messaggio”, anzi una metafora-lezione sull’amore e sull’innamoramento con
annessi autenticità e dono reciproco di se.
Ce
lo suggerisce il settimo appuntamento della Rassegna teatrale dedicata
all’attrice agrigentina Mariuccia Linder in scena al “Posta Vecchia” di
Agrigento promossa dal “Teatranima”. Il testo,
dissepolto dalla grande mole di fiabe della specialista in psicologia
etnoclinica, junghiana, Clarissa Pinkola Estes è “La donna scheletro” con l’adattamento di
Michele Albano (voce recitante) e per la regia di Josephine Giadone che è
riuscita ad amalgamare coreografia e voci narranti di Fara Romano, Bruno Sari,
la musica originale di Patrizia Capizzi,
il Coro compagnia Hator Academy. Gli abiti di scena sono firmati da Tiziana
Morreale, la produzione dello spettacolo è della “Raimondo Ruggieri art company”
di Caltanissetta.
Come
si vede un robusto ensemble che con la scelta della “Donna scheletro” si mette
alla prova tra archetipi e femminino creativo e che conferma tra l’altro il
“trend” dell’atto unico, paradiso delle piccole compagnie teatrali invitate dalla Rassegna. Tutte espressioni
femminili e femministe tratte da Lina Prosa, Sylvia Plath, Annibale
Ruccello.
E ancora problematiche saranno le restanti opere in cartellone che si richiamano a Pirandello e Ionesco. Certo, potranno apparire scelte esorbitanti accompagnate da note di regia ammantata di paroloni magari per esorcizzare la tensione dell’approccio di “non professionisti” con autori di immensa statura. Tutto sommato è giusto che sia così. Un tempo la strada del teatro passava per il cabaret, soleva dire Ennio Flaiano, oggi il debutto e la “prova” vengono affidati alla rivisitazioni di racconti o di piccoli romanzi che irrobustiscono gli “animali di scena” come ci ricorda Emma Dante.
Accostarsi
alla Pinkola Estès non è facile. Lettori e studiosi spesso hanno confessato di
averla letta a “spizzichi” non riuscendo a trovare lo stato d’animo adatto ai
suoi consigli e alle sue analisi crudissime e sincere che spesso fanno entrare in gioco la dottrina
sociale della Chiesa. Insomma, un insegnamento (per i partners delle relazioni
amorose) ad avere pazienza e a non illudersi sperando nell’amore perfetto. La
fiaba-metafora messa in scena dal gruppo nisseno probabilmente andava letta prima
dello spettacolo, a conferma che il teatro è vita quanto e come la letteratura,
che rimanda al botteghino e alle librerie
e non solo ai localini enogastronomici. Purtroppo non riesce a far
vendere libri nemmeno “La strada degli scrittori” penalizzata tra
l’altro dall’incompiutezza di un’arteria
che dovrebbe collegare decine di paesi condannati all’incomunicabilità.
E
allora che miracolo potrà fare questa fiaba “inuit” del pescatore che –
racconta la Estès – pesca un pesce-(donna-scheletro) che credeva grosso,
addirittura “un tesoro ben più grande di
quanto potesse immaginare così come l’innamorato scopre nell’oggetto del
suo desiderio un tesoro che non pensava
potesse esistere”?
Inizia,
appunto, da questo interrogativo la
dialettica elaborata dalla messinscena che invita a reinterpretare
l’esperienza della donna tramite i racconti popolari, l’arte e la natura, per
entrare in contatto con la “lupa” trasformatrice che la incita a maturare e a
essere libera. Molte delle frasi del libro Donne che corrono coi lupi sono
ritenute un’autentica bibbia per tutte quelle persone interessate a conoscersi,
a lavorare sulla propria identità, sul proprio valore, a sanare molte ferite
emotive che a volte si ereditano dai propri antenati o dall’educazione
patriarcale.
Già, perché sono complesse queste “donne che corrono con i lupi” e la Estes appronta per loro un prontuario di sette frasi cui lo spettacolo attinge in parte. Né poteva fare altrimenti. Certo, a confronto della (mala)fine che hanno fatto le eroine di Silvia Plath e di Antonio Ruccello (proposte precedentemente dalla Rassegna), la “donna scheletro” che si nutrirà dell’uomo pescatore perfino rubandogli le lacrime, potrà almeno conciliarci con il frastagliato edificio junghiano che oggi tende sempre più a diventare orientamento spirituale, permeando gruppi e organizzazioni di tipo iniziatico. Un vera manna per gli “iniziatici” della scena.
Testo e foto di Diego Romeo